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Oggi manca solo l’otre, poi il cerchio sarà completo. I contenitori per la conservazione del vino hanno vissuto un percorso di evoluzione e ritorno alle tradizioni come pochi altri strumenti dell’agroalimentare.

Le ultime novità a livello enologico parlano di anfore, rimandando a forme e materiali le cui origini si perdono nella notte dei tempi. A dire il vero, appunto, forse il primissimo contenitore, utilizzato dai nostri avi, fu di origine animale.

Parliamo dell’otre, realizzato con la pelle conciata di una pecora. Da questa tradizione nasce anche la “zampetta“, che è il contenitore per la parte di vino che spettava, oltre al compenso in denaro, al carrettiere che trasportava il vino dai Castelli Romani alle trattorie della Capitale. Sul carro trainato dal cavallo c’erano i barili in legno, ma per il carrettiere c’era questo otre realizzato con la pelle di una zampa di pecora da riempire per il viaggio.  Oggi un qualcosa di simile, in sintetico, è riprodotto con il sacco contenuto nei bag in box.

L’evoluzione dei materiali

I contenitori in coccio a forma di anfora per la conservazione del vino scoperti in Georgia e Asia minore, vengono datati a millenni fa.

Si passò poi, per comodità di trasporto, alle botti di legno realizzate con singole doghe allacciate tra loro.

Quaranta anni fa spopolavano i serbatoi in vetroresina che stavano soppiantando, per leggerezza e funzionalità, il cemento che aveva invaso le cantine di tutto il mondo.

La tecnologia evolvendo velocemente, fece arrivare all’acciaio, facile da pulire e modellabile in contenitori di tutte le dimensioni senza problemi, capace di chiudere ermeticamente grazie alle guarnizioni di gomma e neutro.

Gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso però portarono al recupero e all’uso del legno, con le barrique di rovere francese, che modellarono il gusto di tutti i vini di successo secondo il binomio “morbidezza e vaniglia“.

Ritorno alle origini

Stancato il consumatore dall’eccessivo uso del legno, i produttori si sono rivolti nuovamente all’acciaio, prima di affrontare la rivoluzione degli ultimi anni, i serbatoi di vinificazione in cemento tornato in auge con le anfore. Naturalezza, espressioni originali sia a livello olfattivo sia a livello gustativo sono le motivazioni con le quali in molti stanno sperimentando queste “nuove, vecchie” soluzioni.

C’entra anche la moda, ma sono in corso studi molto seri sulle specificità di una conservazione in contenitori di un materiale piuttosto che in un altro. Quello che si cerca è il poter donare al consumatore una qualità da ritrovarsi nel bicchiere.

Storia della conservazione del vino nel vetro ovvero nella bottiglia

Fin dall’antichità il vetro è stato il materiale più utilizzato per conservare il vino. Il vino, infatti, trae giovamento dal vetro: è grazie alle proprietà di quest’ultimo che può mantenere intatte le sue proprietà organolettiche.

Si tratta di un materiale protettivo, che non conferisce odori né sapori e non altera il gusto del vino stesso.

Il vetro è un materiale di antichissima origine. Alcuni fanno risalire l’invenzione del vetro ai Fenici: l’area in cui vivevano, corrispondente grossomodo all’attuale Libano, era ricca di silicio, materiale con cui si produce appunto il vetro. In realtà, testimonianze dell’utilizzo del vetro si sono ritrovate anche nelle tombe di alcuni faraoni egizi; in questo caso la funzione dei contenitori in vetro sarebbe stata quella di conservare balsami ed unguenti.

In epoche successive, attorno al primo secolo a.C., qualcuno inventò la soffiatura a canna: si tratta di una invenzione che nel corso del tempo consentì la realizzazione di molti oggetti di uso comune.

Già nell’antichità, dunque, la conservazione e la mescita del vino avveniva in contenitori di vetro, come testimoniato dai resti che sono stati rinvenuti negli scavi di Pompei, benché rimanesse un materiale di uso non comune, visto il costo elevato.

Il legame tra il vino e il vetro è sicuramente antico e nel Medioevo si utilizzava la parola bottiglia: questo termine, infatti, deriva dal tardo latino buticŭla, che significa “piccola botte”. Il nome deriva dall’uso a testimonianza il fatto che la bottiglia servisse prevalentemente per conservare il vino.  

Va detto che probabilmente l’uso della bottiglia di vetro non era diffuso, in quanto questo materiale aveva un costo elevato. Solo verso la fine del Seicento inizierà a diffondersi a partire dall’Inghilterra, che era divenuta una potenza commerciale in fatto di vino. La diffusione del vetro come materiale per le bottiglie sarà più capillare soprattutto dopo la rivoluzione industriale con la capacità di produrre più velocemente il vetro e con costi inferiori.

Alcune caratteristiche del vetro:

  • Robustezza: non sempre si pensa a questa come una caratteristica capace di condizionare la produzione di bottiglie in vetro, eppure si tratta di una esigenza molto importante, basti pensare ai vini spumanti, che necessitano di vetri in grado di trattenere l’elevata pressione del vino senza far esplodere le bottiglie. Proprio per questo è stata inventata la champagnotta, bottiglia chiusa con un tappo in sughero di diametro largo con l’esterno bloccato da una gabbietta metallica
  • Colore: anche il colore è importante in quanto permette di oscurare la luce ed evita che si perdano caratteristiche organolettiche del vino, quindi non vetro bianco
  • La forma che è funzionale ed è nel tempo divenuta anche identificativa di alcune zone.